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Quit Like a Woman

Quit Like a Woman

The Radical Choice to Not Drink in a Culture Obsessed with Alcohol
di Holly Whitaker 2019 368 pagine
3.99
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Punti chiave

1. L’alcol è una droga tossica, non una scelta di vita sana.

In altre parole, beviamo — per divertimento — la stessa sostanza che usiamo per produrre carburante per razzi, vernici per la casa, antisettici, solventi, profumi e deodoranti, e per denaturare (cioè togliere le proprietà naturali o uccidere) gli organismi viventi.

È veleno. Nonostante sia normalizzato e pubblicizzato come parte sana o essenziale della vita, l’alcol (etanolo) è una droga neurotossica e psicoattiva. Viene impiegato in ambito industriale come carburante e solvente proprio perché denatura le proteine, uccidendo gli organismi. Il nostro corpo lo riconosce come una tossina e dà priorità alla sua eliminazione.

Impatto sulla salute. Anche un consumo moderato altera numerose funzioni corporee.

  • Interrompe i cicli del sonno, causando ansia e irritabilità.
  • Aumenta l’ansia rilasciando cortisolo e adrenalina.
  • Compromette la disintossicazione epatica, accumulando tossine nel grasso.
  • Favorisce l’aumento di peso e ostacola la perdita di peso.
  • Danneggia la funzione cerebrale e l’equilibrio glicemico.
  • Sconvolge il funzionamento ormonale ed è collegato a sette tipi di cancro.
  • Provoca invecchiamento precoce e distrugge il microbioma intestinale.

Paradosso del benessere. In una società ossessionata dalla salute, dal cibo biologico e da uno stile di vita pulito, bere etanolo è una contraddizione evidente. L’idea che un consumo moderato sia salutare è un mito alimentato dall’industria e da studi superati, che ignorano gli effetti tossici immediati sul corpo.

2. La grande industria dell’alcol usa tattiche manipolative come quella del tabacco.

È più facile ingannare le persone che convincerle di essere state ingannate.

Consenso costruito. Come la grande industria del tabacco, anche quella dell’alcol manipola la percezione pubblica per normalizzare e aumentare il consumo. Si appropriano di movimenti culturali, come il femminismo, dipingendo il bere come un atto di liberazione o empowerment, soprattutto rivolto a donne e gruppi marginalizzati. Così si crea un “consenso costruito”, facendo credere che le scelte siano autonome quando invece sono influenzate dal marketing.

Controversia pilotata. L’industria alcolica, tramite organizzazioni come Responsibility.org, promuove il concetto di “bere responsabilmente”. Questa tattica, simile al “non ci sono abbastanza ricerche” del tabacco, sposta la colpa dalla sostanza all’individuo, generando confusione e scetticismo sui pericoli intrinseci dell’alcol. Si insinua che il problema siano le persone “irresponsabili”, non il prodotto tossico.

Mercati emergenti nel mirino. Di fronte al calo dei consumatori fedeli, entrambe le industrie puntano aggressivamente a nuovi clienti.

  • Il tabacco ha usato Joe Camel per attirare i giovani.
  • L’alcol ha sfruttato Spuds MacKenzie e si rivolge alle donne con la cultura del “mommy juice” e il branding rosa.
  • Entrambe si espandono nei Paesi a basso e medio reddito, aumentando dipendenza e mortalità a livello globale per profitto.

3. L’etichetta “alcolista” è dannosa e sposta la colpa.

L’alcol è l’unica droga al mondo per cui, quando smetti di assumerla, vieni considerato malato.

Colpevolizzare la persona. Il concetto di “alcolista” implica una differenza fondamentale tra chi beve “normalmente” e chi ha un problema, suggerendo che la colpa sia di un individuo difettoso piuttosto che della sostanza dipendente o della cultura che la promuove. Questa idea eugenetica, storicamente usata per emarginare le persone vulnerabili, protegge l’industria alcolica da responsabilità.

Falsa sicurezza. Questo pensiero binario impedisce a molti di esaminare il proprio rapporto con l’alcol. Se non corrispondono allo stereotipo estremo dell’alcolista (pipi a letto, guida in stato di ebbrezza), assumono di non avere problemi, anche se l’alcol danneggia la loro vita. Così il bere problematico può peggiorare senza controllo.

Limita la guarigione. L’etichetta porta con sé stigma e paura, rendendo le persone riluttanti a chiedere aiuto. Suggerisce una malattia incurabile e permanente, intrappolando l’individuo in una narrazione di rottura e impotenza. Abbandonare l’etichetta permette di concentrarsi sulla guarigione della persona intera e sul contesto culturale del bere.

4. La dipendenza è un problema a due facce: cause profonde e ciclo.

La dipendenza inizia con la speranza che qualcosa “là fuori” possa riempire istantaneamente il vuoto dentro di noi.

Oltre la sostanza. La dipendenza non riguarda solo la droga; è una risposta complessa a problemi sottostanti. È un “problema a due facce” che coinvolge cause profonde e il ciclo biologico della dipendenza. Concentrarsi solo sull’astinenza senza affrontare le radici è come curare un sintomo ignorando la malattia.

Cause profonde. Sono i fattori che spingono a fuggire o automedicarsi.

  • Traumi non guariti (grandi e piccoli).
  • Disconnessione da sé, dagli altri, dallo scopo e dalla cultura.
  • Oppressione sociale (sessismo, razzismo, classismo, ecc.).
  • Incapacità di autoregolare emozioni o disagio.
  • Squilibri nutrizionali e problemi di salute fisica.

Ciclo della dipendenza. L’uso ripetuto di una sostanza o comportamento per far fronte crea un circuito biologico di feedback. L’alcol inonda il cervello di dopamina, dirottando l’istinto di sopravvivenza e indebolendo la corteccia prefrontale (giudizio, forza di volontà). Questo controllo dall’alto si inverte, facendo sì che il cervello primitivo dia priorità alla ricerca dell’alcol, perpetuando il ciclo nonostante le conseguenze negative.

5. I modelli tradizionali di recupero sono spesso patriarcali e inefficaci per le donne.

Se ricordare quanto non siamo Dio, quanto poco controllo e potere abbiamo, o ammettere la nostra fallibilità, insignificanza e umiltà fosse l’antidoto a un problema con l’alcol, le donne non avrebbero problemi con l’alcol.

Pensati per uomini. Alcolisti Anonimi (AA), il modello di recupero dominante, è stato fondato da e per uomini bianchi della classe medio-alta negli anni ’30. I suoi principi fondamentali, come abbattere l’ego e ammettere impotenza, sono stati pensati per contrastare problemi specifici di uomini malati di un senso esagerato di potere e controllo in una società patriarcale.

Danni per le donne. Questi principi possono essere dannosi per donne e gruppi marginalizzati che già mancano di potere, voce e un forte senso di sé.

  • Il silenziarsi e l’annullarsi (distruzione dell’ego) rafforzano l’oppressione esistente.
  • Ammettere impotenza può ri-traumatizzare chi si sente già senza potere.
  • Concentrarsi sui difetti di carattere ignora i fattori sociali che contribuiscono alla dipendenza.
  • Anonimato e assenza di autorità centrale possono lasciare membri vulnerabili senza protezione.

Problema sistemico. I principi di AA permeano tutto il panorama del trattamento delle dipendenze, influenzando terapie, comunità terapeutiche e sistema giudiziario. Ciò significa che anche chi non frequenta AA è spesso sottoposto a questo quadro patriarcale, che può ostacolare la guarigione di donne e persone oppresse.

6. Un recupero centrato sul femminile costruisce sé, autonomia e fiducia.

Non c’è niente di più forte di una donna spezzata che si è ricostruita.

Ricostruire, non distruggere. A differenza dei modelli patriarcali che mirano a distruggere l’ego, un approccio femminile si concentra sul rafforzare il sé, l’autonomia e la fiducia in sé stesse. Riconosce che le donne spesso arrivano al recupero già “frantumate” e hanno bisogno di empowerment, non di ulteriore diminuzione.

Credenze fondamentali. Questo approccio si basa su principi che contrastano il condizionamento sociale.

  • Auto-advocacy: prendersi cura di sé, crescere in autonomia, scegliere il senso di colpa invece del risentimento, stabilire confini, coltivare il potere.
  • Fiducia in sé: ascoltare l’istinto, sapere cosa non si può “tollerare”, provare tutto con mente aperta.
  • Pratica di sé: abbracciare la disponibilità, comprendere la resa, vedere il recupero come un miglioramento, impegnarsi nella pratica, agire in modo olistico, evolvere.

Guarigione dal basso. Questo paradigma sostiene i bisogni individuali e l’intuizione, invece di imporre una struttura rigida ed esterna. L’obiettivo non è solo l’astinenza, ma creare una vita così appagante da non desiderare più la fuga, centrata sul recupero della propria voce, potere e desideri.

7. Smettere richiede di comprendere abitudini, forza di volontà e gestione dell’energia.

Non serve usare la forza di volontà quando non vuoi fare qualcosa.

Oltre la forza di volontà. Smettere non riguarda solo avere abbastanza forza di volontà, una risorsa cognitiva limitata. Significa capire come si formano le abitudini (ciclo segnale-routine-ricompensa) e come gestire l’energia durante la giornata per evitare il burnout che scatena le voglie.

Mente unificata. La dissonanza cognitiva (pensieri contrastanti sul bere) prosciuga la forza di volontà. Raggiungere una “mente unificata” in cui il desiderio di non bere supera i benefici percepiti elimina la lotta interna. Questo si sostiene smantellando i pregiudizi confermativi sui vantaggi dell’alcol.

Smettere strategicamente. Smettere è un processo che richiede pianificazione e allenamento, non una decisione improvvisa.

  • Creare nuove abitudini e rituali (mattina, mezzogiorno, sera) per sostituire le vecchie e automatizzare comportamenti positivi.
  • Gestire l’energia evitando sovrastimolazioni, prendendo pause di respiro, mangiando regolarmente e stabilendo confini.
  • Costruire una “cassetta degli attrezzi” di meccanismi di coping sani a cui ricorrere invece dell’alcol.
  • Imparare a confrontarsi direttamente con le voglie (surfing dell’impulso) invece di resistere semplicemente.

8. La guarigione implica affrontare le cause profonde in modo olistico (traumi, salute, ecc.).

Traumi non guariti, incapacità di stare con sé, schemi distruttivi, abusi e auto-abusi, difetti di autoregolazione, mancanza di scopo o significato esistenziale, squilibri nutrizionali e corpi fisici trascurati devono essere affrontati per non passare semplicemente da un meccanismo di coping scadente (come il vino) a un altro (come lo shopping).

Approccio olistico. Il recupero duraturo richiede di affrontare le molteplici ragioni che alimentano la dipendenza. Non basta smettere di bere; bisogna guarire le ferite e gli squilibri che hanno reso necessaria la fuga. Ciò implica prendersi cura della salute fisica, mentale, emotiva e spirituale.

Affrontare il trauma. Il trauma, immagazzinato nel corpo, spesso alimenta la dipendenza. Rinegoziare il trauma richiede terapie somatiche (basate sul corpo) come EMDR, EFT o SE, oltre a pratiche come meditazione, yoga e respirazione per scaricare l’energia bloccata e riconnettersi con il corpo.

Benessere fisico. La dipendenza influisce sulla salute fisica e gli squilibri possono perpetuare i comportamenti dipendenti.

  • Dare priorità al sonno (7-8 ore).
  • Mangiare regolarmente (ogni 3-4 ore) per stabilizzare la glicemia.
  • Consumare proteine e grassi sani per cervello e ormoni.
  • Idratarsi adeguatamente per la disintossicazione.
  • Muovere il corpo quotidianamente.
  • Nutrire con cibi integrali e ricchi di nutrienti.

Oltre il corpo. La guarigione coinvolge anche finanze, carriera, scopo, spiritualità e ogni altro ambito che contribuisce a disagio o disconnessione. È un processo continuo di costruzione di una vita da cui non si sente il bisogno di fuggire.

9. Relazioni e comunità sono essenziali per il recupero.

L’opposto della dipendenza è la connessione.

Bisogno biologico. Gli esseri umani sono programmati per la connessione e la cooperazione; è fondamentale per la sopravvivenza e il benessere. La dipendenza spesso nasce dalla disconnessione – da sé, dagli altri e da uno scopo significativo. Ricostruire connessioni sane è vitale per guarire.

Navigare il cambiamento. La sobrietà spesso sconvolge le relazioni esistenti, poiché i circoli sociali possono ruotare attorno al bere. Questo può portare a solitudine intensa e isolamento, proprio quando si ha più bisogno di supporto. È importante capire che è una fase normale del processo.

Costruire nuove connessioni. Trovare una comunità di supporto è fondamentale.

  • Cercare un “team di cura” (terapeuti, coach, mentori) per guida e sostegno.
  • Trovare “persone pari” che comprendano il percorso, attraverso gruppi di recupero o interessi condivisi.
  • Abbracciare la tensione tra il bisogno di connessione e quello di solitudine per riconnettersi con sé.
  • Avere coraggio nel mettersi in gioco per incontrare nuove persone in sintonia con il sé in evoluzione.

10. La vita senza alcol è un’avventura di scoperta di sé.

Dimmi, cosa pensi di fare con la tua unica, selvaggia e preziosa vita?

Oltre la noia. La paura che la vita senza alcol sia noiosa è una menzogna diffusa dalla cultura dell’alcol. Eliminare l’alcol non toglie il divertimento; toglie un depressivo e anestetico che smorza l’esperienza autentica e limita le opzioni. La sobrietà apre la porta a una vita più ricca e autentica.

Riconquistare la gioia. La sobrietà permette di riscoprire i piaceri semplici e la meraviglia infantile che l’alcol sopprimeva.

  • Godersi le “cose normali” come leggere, camminare o guardare un film.
  • Abbracciare la leggerezza e comportarsi di nuovo come un bambino.
  • Scoprire il valore della solitudine e accogliere le tendenze introverse.
  • Connettersi con la propria “strega radicale” – la parte che non si fa mettere i piedi in testa e fa ciò che vuole.

Espressione creativa. La sobrietà spesso libera la creatività repressa, offrendo un potente canale per l’espressione di sé e l’assorbimento. Creare arte, scrivere o costruire qualcosa di significativo può diventare fonte di profonda soddisfazione.

Vedere con occhi nuovi. La sobrietà consente di guardare il mondo con occhi freschi, apprezzando la meraviglia e la magia della vita quotidiana. È un invito a essere pienamente presenti e coinvolti, trovando avventura nel rischio e abbracciando il sé autentico.

11. La sobrietà è una questione di giustizia sociale legata all’oppressione sistemica.

Non è segno di salute essere ben adattati a una società malata.

Oltre la colpa individuale. La dipendenza non è solo una mancanza personale; è profondamente intrecciata con problemi sistemici. La cultura dell’alcol, la guerra alla droga, il complesso industriale carcerario e il capitalismo sfrenato contribuiscono a una malattia diffusa e alla dipendenza, danneggiando in modo sproporzionato le comunità marginalizzate.

Questione intersezionale. La sobrietà è una questione di giustizia sociale perché si interseca con sessismo, razzismo, classismo, omofobia e altre forme di oppressione. Questi sistemi creano le condizioni che spingono alla dipendenza e influenzano come il recupero viene vissuto e accessibile.

**Consapevolezza radicale

Ultimo aggiornamento:

Recensioni

3.99 su 5
Media di 29.5K valutazioni da Goodreads e Amazon.

Quit Like a Woman ha suscitato opinioni contrastanti. Molti hanno apprezzato la sua prospettiva femminista sulla cultura dell’alcol e sul percorso di recupero, trovandola stimolante e illuminante. I critici hanno riconosciuto il valore della storia personale dell’autrice e delle sue ricerche sull’industria dell’alcol. Tuttavia, alcuni hanno giudicato il libro come un prodotto di privilegi, carico di posizioni politiche e poco rispettoso dei metodi tradizionali di recupero come gli Alcolisti Anonimi. I lettori si sono divisi anche sulla praticità delle tecniche di recupero proposte, con alcuni che le hanno ritenute poco realistiche per la maggior parte delle donne. Il tono e la struttura del libro sono stati ulteriori punti di discussione: c’è chi ha apprezzato lo stile di scrittura e chi, invece, lo ha trovato dispersivo e troppo incentrato sull’autrice stessa.

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Informazioni sull'autore

Holly Whitaker è la fondatrice di Tempest, un programma di recupero moderno nato nel 2014 a seguito del suo personale percorso verso la sobrietà. È autrice del bestseller "Quit Like A Woman: The Radical Choice to Not Drink in a Culture Obsessed with Alcohol", un’opera che unisce memoir e self-help per indagare la cultura del bere, l’influenza delle grandi industrie dell’alcol e le specifiche esigenze di recupero delle donne. Il lavoro di Whitaker è stato ampiamente riconosciuto e citato su importanti testate come il New York Times e Vogue. Nel 2019 è stata inserita nella lista Inc delle 100 donne fondatrici più influenti, grazie al suo contributo nel campo del recupero. Attualmente vive nella regione dei Catskills, nello stato di New York.

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