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The Cost of Ambition

The Cost of Ambition

How Striving to Be Better Than Others Makes Us Worse
di Miroslav Volf 2025 208 pagine
4.44
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Punti chiave

1. La ricerca della superiorità: una forza pervasiva e distruttiva

Un senso di inferiorità alimenta la ricerca della superiorità, e questa è accompagnata da sentimenti di orgoglio e di inferiorità.

Un impulso onnipresente. Il desiderio di essere migliori degli altri è una tendenza profondamente radicata nell’essere umano, evidente fin dagli antichi imperatori come Giustiniano, che si vantava di aver superato Salomone nella costruzione di Santa Sofia, fino ai confronti quotidiani su automobili o “like” sui social media. Questo impulso si distingue dalla ricerca dell’eccellenza, che mira al miglioramento personale, poiché la superiorità spesso implica sminuire gli altri o ostacolare il loro successo. Il libro sostiene che, sebbene la ricerca della superiorità possa portare benefici strumentali (come la fama di Lionel Messi), il suo valore morale è altamente discutibile.

Danni sociali. Questa pervasiva ricerca della superiorità penetra quasi ogni ambito della vita moderna, dallo sport all’istruzione, dalla politica ai social media. Essa genera una pressione incessante a misurarsi, causando diffusi problemi di salute mentale come la depressione, definita dall’autore come una “malattia di inadeguatezza”. Il confronto costante, soprattutto sulle piattaforme social curate, alimenta insoddisfazione corporea, disturbi alimentari e un crollo dell’autostima, specialmente tra gli adolescenti.

Erosione dei valori. Quando la superiorità diventa il valore dominante, può degradare i beni stessi che pretende di raggiungere. Per esempio, la competizione intensa per un’istruzione d’élite sposta l’attenzione dall’apprendimento in sé al mero conseguimento di status, come dimostrano gli scandali nelle ammissioni e la correlazione tra ricchezza e iscrizione a scuole selettive. Analogamente, in politica, la ricerca del dominio può oscurare il bene comune, portando a una “decadenza della verità” in cui i leader privilegiano la vittoria elettorale rispetto al discorso fattuale, incentivando la disonestà.

2. Il “timore del confronto” avvelena l’autostima

Fuggire dall’inferiorità cercando la superiorità la uccide.

Il lamento del giglio. Søren Kierkegaard illustra il pericolo del confronto con la parabola di un giglio di campo contento. Venuto a sapere da un “uccello birichino” di gigli più “splendidi” altrove, il piccolo giglio si lascia consumare dal “timore del confronto”, bramando di diventare una “Corona Imperiale” invidiata da tutti. Questa ricerca irrequieta, nata da un senso di inferiorità, conduce infine alla sua rovina, poiché appassisce e muore nella vana ricerca di una convalida esterna.

Sottrazione all’umanità. Kierkegaard sostiene che questa “mentalità irrequieta del confronto” è una “corruzione dell’anima” che la danneggia profondamente. Essa comporta:

  • Preoccupazione costante: Che si sia in alto o in basso nella scala comparativa, si è tormentati dall’ansia, sia per salire sia per non essere superati.
  • Erosione dell’unicità: I confronti competitivi appiattiscono le particolarità individuali, riducendo le persone al loro successo o fallimento su una scala spesso arbitraria.
  • Perdita del sé: Gli individui si disperdono, aspettando costantemente una convalida esterna che definisca “chi sono in questo momento”, generando un’identità fragile e instabile.

Un’illusoria grandezza. Per Kierkegaard, la “grandezza” o superiorità che gli uomini cercano è una finzione. Sebbene le qualità perseguite (bellezza, intelligenza) possano essere reali, il senso di superiorità che ne deriva è illusorio e disumanizzante. Egli afferma che la nostra “semplice umanità” è una gloria incomparabilmente più grande di qualsiasi distinzione mondana, e perseguire una grandezza esterna a suo discapito è una forma di “disperazione” spirituale, un tradimento di sé che conduce a un’esistenza spettrale.

3. L’ambizione di Satana: la futilità della supremazia assoluta

Finché l’orgoglio e la peggiore ambizione mi gettarono giù, combattendo in Cielo contro l’ineguagliabile Re del Cielo.

Ribellione contro la condizione di creatura. Nel Paradiso Perduto di John Milton, la ricerca della superiorità di Satana è il motore cosmico del male. Come “primo Arcangelo, grande in potere”, Satana non sopporta di avere un superiore, vedendo nell’elevazione del Figlio da parte di Dio un’“ingiustizia meritata”. La sua ribellione non è contro l’ingiustizia, ma contro la propria inferiorità ontologica come creatura. Per giustificare la sua grande insurrezione, Satana inventa una falsa ideologia di auto-creazione angelica, dimostrando come la ricerca della superiorità spesso richieda una distorsione della realtà.

Il tormento dell’auto-odio. Il soliloquio di Satana rivela la verità angosciosa: la sua guerra contro Dio fu un “male in cambio del bene ricevuto”, alimentata da una “speranza illimitata” di essere “il più alto”. La sua incapacità di pentirsi deriva dalla vergogna insopportabile di riconoscere l’inferiorità, che lo conduce a un ciclo di auto-odio anche mentre è “adorato” sul trono dell’Inferno. Questa “miseria” è la “gioia che l’ambizione trova”, illustrando come la ricerca frustrata della superiorità possa trasformarsi nel distruggere i concorrenti, anche a costo dell’autodistruzione.

L’ambizione compromessa di Eva. La caduta di Eva è anch’essa radicata nel desiderio di superiorità, seppur più circoscritto. Satana sfrutta il disagio di Eva di fronte alla superiorità intellettuale di Adamo, adulandola come “sovrana padrona” e “signora universale”. Dopo aver mangiato il frutto proibito, Eva spera di “tenere nelle sue mani la conoscenza” e diventare “qualche volta superiore” ad Adamo, credendo che “chi è inferiore è libero?” La sua decisione di condividere il frutto con Adamo non nasce dall’amore, ma dalla paura dell’inferiorità ultima se lei dovesse morire e lui vivere con un’altra Eva.

4. La vera gloria risiede nel servizio umile, non nell’agguantare lo status

Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

La discesa di Cristo. L’apostolo Paolo presenta Gesù Cristo come l’esempio supremo contrario alla ricerca della superiorità. Nel Carmen Christi (Filippesi 2:6-11), Cristo, pur esistendo “nella forma di Dio” e pari a Dio, “non considerò un privilegio l’essere uguale a Dio”. Al contrario, “si svuotò”, assumendo “la forma di servo” e umiliandosi fino alla morte sulla croce — il massimo “cursus pudorum” o “corsa delle vergogne”. Questa radicale auto-abnegazione non fu un mezzo per ottenere status, ma l’essenza stessa della sua gloria divina.

Gloria nel dono di sé. L’esaltazione successiva di Cristo da parte di Dio non è una ricompensa per la sua sofferenza, ma una pubblica conferma che questo amore donato è gloria. La gloria di Cristo non consiste nel mantenere l’eminenza divina o nel controllare gli altri, ma nel servire gli altri, anche i più disprezzati, fino alla morte ignominiosa. Questo dimostra cosa significhi essere “l’Altissimo” di fronte alla fragilità e al bisogno delle creature.

Un nuovo criterio di valore. Paolo esorta i cristiani ad adottare questa “mente di Cristo”, a “non fare nulla per ambizione egoistica o vanagloria, ma con umiltà considerare gli altri superiori a voi stessi” (Filippesi 2:3). Ciò significa prendersi cura attivamente degli interessi altrui, trattandoli come se avessero una posizione e un’importanza maggiori, indipendentemente dal loro merito. Questo onorarsi reciprocamente, radicato nell’esempio di Cristo, destabilizza le gerarchie mondane e favorisce una comunità di cura incondizionata e onore condiviso.

5. Ogni valore umano è un dono, escludendo ogni motivo di vanto

Che cosa hai che non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non l’avessi ricevuto?

L’illusione dell’autosufficienza. Paolo sfida direttamente le basi del vanto e della ricerca della superiorità chiedendo: “Chi ti distingue dagli altri? Che cosa hai che non abbia ricevuto?” (1 Corinzi 4:7). La risposta implicita è: nulla. Ogni aspetto dell’essere umano — esistenza, capacità, successi e persino giustizia davanti a Dio — è un dono. Pertanto, ogni pretesa di essersi guadagnati uno status superiore è una “falsità esistenziale”, una menzogna che sostiene la “saggezza” di un mondo destinato a perire.

Vantarsi solo nel Signore. Paolo, un tempo zelante ricercatore di superiorità religiosa, considerò i suoi “guadagni” (pedigree, impeccabilità secondo la legge) come “perdite” o “spazzatura” dopo aver incontrato Cristo. La sua nuova identità non è “una giustizia propria… ma quella che viene per fede in Cristo” (Filippesi 3:9). Questa “giustizia aliena” è dono di Dio, escludendo il vanto personale. L’unico vanto legittimo è “nel Signore” (1 Corinzi 1:31), riconoscendo in Cristo l’unica fonte di vera sapienza, potere e dignità, ponendo fine a ogni pretesa di superiorità personale.

Ricompensa reciproca. Paolo ridefinisce il concetto di “ricompensa” eliminando la competizione. Quando parla della sua “corona di vanto”, non si riferisce a un premio individuale per i suoi sforzi, ma alle persone che ha servito: “Non siete voi? Sì, voi siete la nostra gloria e la nostra gioia!” (1 Tessalonicesi 2:19-20). Questa gioia reciproca significa che tutti coloro che abbracciano la via di Cristo sono la ricompensa gli uni degli altri, e insieme sono la corona di Cristo. Questo sistema di ricompensa condivisa e non esclusiva rende ossimorica la ricerca della superiorità individuale.

6. La “pazzia” di Dio ridefinisce potere e sapienza

La pazzia di Dio è più saggia della sapienza umana, e la debolezza di Dio è più forte della forza umana.

Sfida agli standard mondani. Paolo affronta la chiesa di Corinto, influenzata da “super-apostoli” che preferivano leader eloquenti e potenti e una “teologia della gloria” rispetto alla “parola della croce” di Paolo. Per loro, il messaggio di un Cristo crocifisso appariva stoltezza e debolezza. Paolo afferma che questa apparente “pazzia” e “debolezza” di Dio è in realtà “più saggia della sapienza umana” e “più forte della forza umana” (1 Corinzi 1:25). Non si tratta di una rivalsa competitiva, ma di una dichiarazione di realtà immutabile: la natura effimera del potere umano contro la verità duratura dell’amore donato di Dio.

La logica capovolta di Dio. Il metodo divino di redenzione è “scegliere ciò che è stolto nel mondo per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che è debole nel mondo per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che è basso e disprezzato nel mondo, cose che non sono, per abolire quelle che sono” (1 Corinzi 1:27-28). Questa strategia divina mira a smantellare la “struttura del vanto” affinché “nessuno possa vantarsi davanti a Dio”. Non si tratta solo di ribaltare le parti (rendere i deboli forti), ma di abolire gli stessi criteri con cui si misura la superiorità, creando una comunità in cui tutti hanno pari onore.

Il paradosso del vanto. Nella seconda lettera ai Corinzi, Paolo, di fronte a forte opposizione, ironicamente si “vanta” per smascherare la follia dei valori dei suoi avversari. Non si vanta delle sue forze, ma delle sue debolezze — sofferenze, persecuzioni e pericoli — che, dal punto di vista mondano, lo rendono un “apostolo inferiore”. Questo “discorso da stolto” (2 Corinzi 11:16-12:10) dimostra che anche un “vanto capovolto” resta un “vanto carnale”, poiché ogni vanto si basa su un’autorealizzazione per affermare la superiorità. Il punto ultimo di Paolo è che ogni vanto, anche nel servizio ammirevole, è problematico perché la vera agenzia appartiene a Cristo che vive in lui.

7. I racconti biblici criticano costantemente la ricerca della preminenza

Chi vuole essere il primo deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti.

L’inversione radicale di Gesù. Gesù sfida costantemente la ricerca dello status. Quando Giacomo e Giovanni chiedono sfacciatamente le posizioni più alte nel suo regno futuro, Gesù rimprovera la loro “lotta per lo status”. Egli dichiara che “chi vuole diventare grande tra voi sia vostro servitore, e chi vuole essere il primo sia schiavo di tutti” (Marco 10:43-44). Non si tratta di rovesciare la gerarchia (rendendo l’inferiorità la nuova superiorità), ma di rendere la superiorità stessa un “non-valore”. Il servizio è il fine, non un mezzo per elevarsi sugli altri.

Precedenti nell’Antico Testamento. La critica alla ricerca della superiorità è profondamente radicata nella Bibbia ebraica:

  • Caino e Abele: L’omicidio di Abele da parte di Caino nasce dal desiderio di ristabilire una presunta superiorità dopo che Dio favorisce l’offerta di Abele.
  • La chiamata di Abramo: La scelta di Abramo da parte di Dio (Genesi 12:1-3) è presentata come grazia immeritata, non basata su qualità o meriti, escludendo ogni pretesa di superiorità.
  • L’elezione di Israele: Deuteronomio 7:6-8 afferma esplicitamente che Israele è stato scelto non per dimensioni o altri attributi, ma “perché il Signore vi ha amati”. Questa elezione immeritata rende “impossibile per chi ascolta con attenzione identificare l’elezione con la superiorità”.
  • La creazione di Adamo: I saggi rabbinici interpretano la creazione solitaria di Adamo (Genesi 1) come un modo per impedire alle generazioni future di vantarsi, “Mio padre… è più grande del tuo padre”, sottolineando l’origine comune e la dignità uguale di tutta l’umanità.

Gli ambiziosi imperfetti. Anche figure fondamentali come Giacobbe e Giuseppe sono ritratti come accaniti ricercatori di superiorità. Giacobbe tratta spietatamente per il diritto di primogenitura di Esaù e inganna il padre per la benedizione. Giuseppe, giovane narcisista, ostenta il suo status favorito, provocando la sua schiavitù. Sebbene entrambi subiscano trasformazioni, riconoscendo la mano di Dio nelle loro vite, le loro azioni iniziali evidenziano la natura distruttiva della loro ambizione.

8. La provvidenza divina opera attraverso le imperfezioni, ma non le giustifica

Voi avete inteso farmi del male, ma Dio lo ha inteso per il bene, per far sì che si conservasse un popolo numeroso, come avviene ancora oggi.

Le linee storte di Dio. Il racconto biblico, soprattutto in Genesi, mostra la provvidenza di Dio all’opera anche attraverso i fallimenti morali umani. Le parole di Giuseppe ai fratelli, “Voi avete inteso farmi del male, ma Dio lo ha inteso per il bene” (Genesi 50:20), riassumono questo tema. Dio usa il crudele gesto di vendere Giuseppe come schiavo per preservare i discendenti di Giacobbe durante una carestia. Allo stesso modo, Dio opera attraverso l’inganno di Giacobbe per farne il progenitore di Israele.

Non una “mano invisibile”. Questa provvidenza divina

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Recensioni

4.44 su 5
Media di 32 valutazioni da Goodreads e Amazon.

"Il costo dell’ambizione" ha ricevuto elogi entusiastici dai lettori, con una valutazione media di 4,36 su 5. Chi ha recensito il libro apprezza lo stile di scrittura chiaro e accessibile di Volf e il modo in cui analizza l’impatto negativo della ricerca della superiorità sulla fede cristiana e sulla vita personale. L’autore prende in esame le opere di Kierkegaard, Milton e dell’apostolo Paolo per mettere in luce le insidie morali dell’ambizione. I lettori hanno trovato il libro stimolante, capace di suscitare riflessioni profonde e di risultare particolarmente attuale, soprattutto nel contesto del capitalismo occidentale e della cultura digitale.

Your rating:
4.75
15 valutazioni

Informazioni sull'autore

Miroslav Volf è un teologo di fama internazionale e autore stimato, attualmente ricopre la cattedra Henry B. Wright di Teologia presso la Yale Divinity School ed è il direttore fondatore del Yale Center for Faith & Culture. Riconosciuto come uno dei massimi esperti in materia di religione e conflitto, Volf si distingue per un approccio teologico che mira a costruire ponti tra le differenze. Il suo lavoro gli ha valso prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Grawmeyer Award in Religion nel 2002 per il libro "Exclusion & Embrace". La sua ricerca abbraccia un ampio ventaglio di temi, dalla riconciliazione e identità fino all’intersezione tra fede e questioni contemporanee, rendendolo uno dei teologi più celebrati e influenti del nostro tempo.

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