Punti chiave
1. Le élite abbandonano il dovere civico e i legami locali
Le élite, che definiscono le questioni, hanno perso il contatto con il popolo.
Isolate dalla vita comune. Le élite odierne, tra cui dirigenti aziendali e professionisti dell’informazione, sono pericolosamente distanti dal resto della nazione. A differenza delle famiglie ricche del XIX secolo, radicate localmente e consapevoli che la ricchezza comportava obblighi civici (finanziare biblioteche, parchi, ecc.), le nuove élite sono mobili e cosmopolite. Si concentrano sulle coste, coltivando legami internazionali e guardando con disprezzo il cuore del paese.
Rivolta contro la “Middle America”. Questa nuova aristocrazia della mente considera la “Middle America” tecnologicamente arretrata, politicamente reazionaria e culturalmente provinciale. Il loro progresso richiede migrazioni continue, portandoli ad associare la “casa” a vicini invadenti e convenzioni rigide. Si sentono a casa solo in transito, privilegiando un mercato globale di denaro, glamour e cultura rispetto a lealtà nazionali o locali.
Il patriottismo è una virtù bassa. Il patriottismo occupa un posto marginale nella loro gerarchia di valori, mentre il “multiculturalismo” attrae come un bazar globale di gusti e usanze esotiche da assaporare senza impegno. Questa visione turistica del mondo difficilmente può alimentare una passione autentica per la democrazia, che richiede un senso di destino condiviso e responsabilità radicati nel luogo e nella storia.
2. Opportunità ridefinite: la mobilità sostituisce la competenza democratizzata
Il successo non è mai stato così strettamente associato alla mobilità, un concetto marginale nella definizione ottocentesca di opportunità.
La mobilità sociale come sogno. L’idea moderna del “sogno americano” ha ristretto il concetto di opportunità alla mobilità sociale ascendente, in particolare verso la classe professionale e manageriale. Questo contrasta nettamente con l’ideale del XIX secolo, che immaginava una distribuzione ampia della proprietà e la democratizzazione della competenza – l’intelligenza e l’intraprendenza necessarie per l’autonomia e la gestione dei propri affari.
La competenza significava autosufficienza. Nel XIX secolo, la “competenza” indicava sia la proprietà sia le capacità per gestirla, promuovendo abitudini come l’autosufficienza e la responsabilità, essenziali per la cittadinanza democratica. Gli estremi di ricchezza e povertà erano temuti come fatali per la democrazia, poiché una classe lavoratrice degradata ne era priva. L’ideale era una nazione di comunità autogovernate, non solo individui che scalavano una scala sociale.
La meritocrazia parodia la democrazia. La mobilità sociale, pur apparendo democratica, può consolidare l’influenza delle élite legittimandola come basata sul merito anziché sulla nascita. Tuttavia, sottrae talenti alle classi inferiori e induce le élite a sentirsi poco obbligate verso le proprie comunità o predecessori, privilegiando la fuga dalla condizione comune rispetto alla leadership o al contributo civico.
3. L’erosione della comunità e della vita pubblica
È il declino di quelle comunità, più di ogni altra cosa, a mettere in discussione il futuro della democrazia.
I quartieri sostituiti dai centri commerciali. Il declino delle comunità autogovernate, un tempo unità fondamentali della società democratica, rappresenta una minaccia fondamentale. I centri commerciali suburbani non possono sostituire i quartieri, che favorivano lo spirito civico e l’associazione informale. La fuga verso le periferie, seguita dai posti di lavoro, ha lasciato le città in rovina, creando ambienti polarizzati per privilegiati e poveri.
L’ingegneria sociale mina i legami. Oltre alle forze di mercato, l’ingegneria sociale illuminata ha distrutto i quartieri privilegiando l’integrazione razziale attraverso politiche come il trasporto scolastico e la frammentazione degli enclavi etnici. Ciò richiede spesso sacrifici alle minoranze della classe operaia, non ai liberali suburbani che progettano tali politiche. L’obiettivo sembra essere la trasformazione delle città per le élite mobili che le vedono solo come luoghi di lavoro e svago.
Perdita dei controlli informali. L’atrofia dei controlli comunitari informali conduce all’espansione dei controlli burocratici, indebolendo la fiducia sociale e la disponibilità ad assumersi responsabilità. Con l’eccessivo carico sulle organizzazioni formali, le persone possono improvvisare forme di auto-aiuto, ma le fondamenta della vita civica richiedono una politica pubblica che ripristini i meccanismi informali, che le forze di mercato da sole non possono riparare.
4. Il dibattito democratico degenera in pose ideologiche
Feroci battaglie ideologiche si combattono su questioni marginali.
Le élite perdono il contatto con la realtà. L’isolamento crescente delle élite fa sì che le ideologie politiche perdano il contatto con le preoccupazioni dei cittadini comuni. Il dibattito diventa autoreferenziale e stereotipato, circolando slogan tra le “classi parlanti” che abitano un mondo artificiale di simulazioni. Le nuove idee faticano a penetrare le rigide ortodossie di destra e sinistra.
Gli ideologi evitano il confronto. Invece di affrontare problemi sociali reali, gli ideologi si scambiano accuse (fascismo/socialismo) e classificano gli argomenti come ortodossi o eretici. Leggono solo opere che confermano le loro opinioni, assorbendo energie che potrebbero essere meglio impiegate nell’autocritica. Questa diminuzione della capacità autocritica segnala una tradizione intellettuale morente.
Falsa impressione di polarizzazione. Il dominio di élite rivali impegnate in ideologie inconciliabili crea una falsa impressione di profonda polarizzazione. Questioni irreali per la maggioranza degli americani dominano la politica nazionale, mentre i problemi reali restano irrisolti. Questa rigidità ideologica oscura il terreno comune e sostituisce questioni sostanziali con simboliche, spiegando perché molti americani sentono che la politica non riguarda ciò che conta davvero.
5. Il pseudo-radicalismo accademico mina gli standard comuni
Quando la conoscenza si equipara all’ideologia, non è più necessario discutere con gli avversari su basi intellettuali o entrare nel loro punto di vista.
Il gergo sostituisce l’argomentazione. I dibattiti nell’istruzione superiore, soprattutto nelle discipline umanistiche, sono dominati da un pseudo-radicalismo accademico che si rifugia in un gergo incomprensibile, sostenendo che sia il linguaggio della “sovversione” contro l’oppressiva “chiarezza”. Ciò rende il discorso accademico inaccessibile agli esterni e rafforza i privilegi professionali degli specialisti.
Attacco agli standard universali. Questa sinistra accademica, che si proclama portavoce degli oppressi, nega valori universali o transraziali, affermando che gli standard comuni sono intrinsecamente razzisti o sessisti. Sostiene che il “canone” rifletta l’egemonia dei “morti bianchi europei maschi” e debba essere smantellato o sostituito da ideologie “alternative” come gli studi afroamericani, femministi, ecc.
Condiscendenza verso le minoranze. Questa posizione, tuttavia, mostra condiscendenza verso le stesse minoranze che dichiara di difendere. Implicando che questi gruppi non possano apprezzare o comprendere i classici, nega loro l’accesso alla cultura mondiale, perpetuando un doppio standard mascherato da tolleranza. Ciò mina l’obiettivo di democratizzare la cultura liberale, abbandonata mentre l’istruzione superiore si stratifica economicamente.
6. La cultura terapeutica abolisce vergogna e responsabilità
Da un punto di vista laico, la preoccupazione spirituale dominante non è la giustizia morale ma “l’autostima”...
La vergogna sostituita dall’autostima. Una cultura terapeutica ha sostituito il concetto di peccato con quello di malattia e il giudizio morale con “comprensione” e “accettazione”. La preoccupazione spirituale dominante è “l’autostima”, una campagna contro vergogna e senso di colpa volta a far sentire le persone “bene con se stesse”, in particolare le minoranze vittimizzate.
La compassione degrada le vittime. Questa ideologia della compassione, pur apparendo benevola, può degradare le vittime riducendole a oggetti di pietà e sollevandole da ogni responsabilità. Istituzionalizza l’ineguaglianza sostituendo standard impersonali, il cui raggiungimento merita rispetto, con la finzione che tutti siano “speciali”, generando cinismo quando la finzione diventa trasparente.
La terapia come politica. La visione terapeutica ha penetrato la politica pubblica, soprattutto nelle campagne per aumentare l’autostima come cura per problemi sociali quali criminalità, povertà e insuccesso scolastico. Questo approccio, esemplificato dal gruppo di lavoro californiano sull’autostima, si basa su “conoscenza intuitiva” più che su prove e promuove uno “stato terapeutico” che favorisce la dipendenza anziché il rispetto di sé.
7. La democrazia richiede rispetto, non solo tolleranza o compassione
Il rispetto è ciò che proviamo di fronte a risultati ammirevoli, caratteri ben formati, doni naturali ben utilizzati.
La tolleranza non basta. Pur essendo una cosa positiva, la tolleranza non è sufficiente: la democrazia richiede un’etica più energizzante, il rispetto reciproco. Il rispetto si guadagna attraverso risultati ammirevoli, carattere e l’uso positivo dei doni; richiede un giudizio discriminante, non un’accettazione indiscriminata o un apprezzamento di “stili di vita alternativi”.
Il populismo valorizza il rispetto. Il populismo, a differenza della tendenza comunitarista a compromessi con lo stato sociale e la sua ideologia della compassione, si impegna senza ambiguità per il rispetto. Rifiuta sia la deferenza sia la pietà, sostiene un linguaggio diretto e tiene gli individui responsabili delle proprie azioni, anche se ciò viene bollato come “giudicante”.
Fare richieste reciproche. Il clima morale attuale, che valorizza “apertura” e “comprensione” sopra ogni cosa, ha indebolito la capacità di giudizio discriminante e ci ha resi riluttanti a fare richieste gli uni agli altri. Ciò porta a tollerare lavori e comportamenti di seconda categoria e, in ultima analisi, all’indifferenza, minaccia più grave per la democrazia dell’intolleranza.
8. La crisi della classe media e l’aumento delle disuguaglianze
Il corso generale della storia recente non favorisce più il livellamento delle distinzioni sociali ma tende sempre più verso una società a due classi...
Emergere di una società a due classi. La storia recente mostra un’inversione della democratizzazione dell’abbondanza, con le antiche disuguaglianze che si riaffermano. La disparità globale tra ricchezza e povertà è evidente, ma la crisi della classe media è particolarmente significativa, poiché il suo potere e numero dipendono dalla distribuzione complessiva della ricchezza.
Contrazione della classe media. Negli Stati Uniti, il 20% più ricco controlla metà della ricchezza e ha visto aumenti di reddito, mentre la classe media si è ridotta. Fattori includono il declino della manifattura, la crescita del lavoro precario e il passaggio a un’economia dell’informazione e dei servizi. Anche la laurea non garantisce più agiatezza; le coppie professionali con doppio reddito (“assortative mating”) guidano la prosperità delle classi alte.
La disuguaglianza economica è indesiderabile. Pur essendo importante l’uguaglianza civica (limitare l’influenza del denaro fuori dalla sua sfera), la disuguaglianza economica è intrinsecamente indesiderabile. Il lusso è moralmente ripugnante e incompatibile con gli ideali democratici. L’accumulazione illimitata permette al denaro di dominare, perciò uguaglianza sociale e civica presuppongono almeno una approssimazione dell’uguaglianza economica.
9. Il declino delle nazioni e l’ascesa del tribalismo/cosmopolitismo
Il mondo della fine del ventesimo secolo presenta uno spettacolo curioso. Da un lato, è ora unito, attraverso il mercato... Dall’altro, le lealtà tribali sono promosse con aggressività senza precedenti.
Indebolimento dello stato-nazione. L’indebolimento dello stato-nazione sottende sia l’unificazione globale (mercato, flussi di capitale) sia la frammentazione (conflitti etnici/religiosi). Lo stato non può più contenere nessuna delle due forze. Il nazionalismo è attaccato dal particolarismo etnico e dalle élite cosmopolite che sostengono l’internazionalizzazione.
Le élite cosmopolite mancano di lealtà. Il declino delle nazioni è legato al declino globale della classe media, storicamente legata allo stato-nazione. Le nuove élite cosmopolite, legate ai mercati internazionali, si sentono più affini ai loro omologhi stranieri che ai connazionali. Senza legami nazionali, hanno poca inclinazione a sacrificarsi o ad assumersi responsabilità oltre i propri circoli immediati.
Il cosmopolitismo come parochialismo. Questo cosmopolitismo, privo di cittadinanza, diventa una forma superiore di provincialismo. Le élite investono in servizi privati (scuole, sicurezza) ma si sollevano dal contribuire al tesoro nazionale. Questa “secessione degli analisti simbolici” è una rivolta contro i vincoli di tempo e luogo, minando il terreno comune fornito dal nazionalismo della classe media.
10. L’università si ritira dal discorso pubblico
La questione fondamentale passa inosservata: l’abbandono della missione storica dell’istruzione americana, la democratizzazione della cultura liberale.
Stratificazione dell’istruzione superiore. I dibattiti sull’istruzione superiore si concentrano sulle università d’élite e sulle guerre culturali, ignorando la maggioranza degli studenti nei college statali e comunitari. A causa dei costi crescenti, l’educazione liberale è sempre più prerogativa dei ricchi, mentre la maggior parte degli studenti segue materie pratiche con scarsa esposizione alle discipline umanistiche o al pensiero critico.
Il gergo accademico isola. Il ritiro della sinistra accademica in un gergo specializzato e nella “teoria” la isola dal pubblico e dalla vera crisi dell’istruzione: il declino delle competenze di base, della conoscenza generale e dei valori morali. Essi liquidano critici e pubblico come incapaci di comprendere idee complesse, rafforzando il proprio isolamento professionale.
Assimilazione nell’ordine corporativo. La vera corruzione universitaria non deriva dal radicalismo accademico ma dalla sua assimilazione nell’ordine corporativo. Ciò devia risorse, favorisce la quantificazione, sostituisce il linguaggio con il gergo e crea una burocrazia focalizzata sul profitto. Questo spinge i pensatori critici verso la “teoria” umanistica, che non sostituisce la critica sociale necessaria a sfidare il ruolo dell’università nello status quo.
11. La perdita dell’arte dell’argomentazione
Ciò che la democrazia richiede è un dibattito pubblico vigoroso, non solo informazioni.
L’informazione sostituisce il dibattito. Nonostante l’“era dell’informazione”, la conoscenza pubblica degli affari civici è diminuita perché il pubblico non partecipa più ai dibattiti. L’informazione, pur facilmente accessibile, non impressiona quando il dibattito è un’arte perduta. Il dibattito, non l’informazione, genera le domande che rendono l’informazione rilevante.
La stampa abbandona il forum pubblico. Il giornalismo, un tempo fortemente partigiano e forum pubblico esteso dell’assemblea cittadina, è diventato più “responsabile” e “obiettivo” intorno al cambio di secolo. Influenzato dai progressisti diffidenti verso il giudizio popolare e che vedevano il governo come scienza per esperti, il giornalismo è passato dall’incoraggiare l’argomentazione a diffondere informazioni, spesso filtrate dalle pubbliche relazioni.
**L’argomentazione è educativa.
Ultimo aggiornamento:
Recensioni
La rivolta delle élite e il tradimento della democrazia è una critica lungimirante della società americana, che analizza il crescente distacco tra le élite e la popolazione generale. Lasch sostiene che la nuova classe professionale ha abbandonato le responsabilità tradizionali, causando un declino nell’impegno civico e nella democrazia. Il libro affronta temi come la meritocrazia, la mobilità sociale e l’erosione del senso di comunità. Se da un lato alcuni critici apprezzano la profondità delle riflessioni di Lasch, dall’altro altri ritengono che le sue argomentazioni risultino frammentarie o carenti di prove concrete. Nonostante sia stato pubblicato nel 1995, molti lettori riconoscono ancora oggi la rilevanza delle sue osservazioni rispetto alle questioni contemporanee.
Similar Books








